IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza  sui  ricorsi  nn.  7408/98  e
 9908/98   rispettivamente  proposti  da  Standa  S.p.a.,  in  persona
 dell'amministratore  delegato  e  legale  rappresentante  pro-tempore
 dott.  Stefano  Ferro,  rappresentata  e  difesa  dagli  avv.ti Marco
 Siniscalco, Giuseppe Sala e Luigi  Medugno  ed  elett.te  domiciliato
 presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Panama n. 12;
   Contro  il comune di Grugliasco, in persona del sindaco pro-tempore
 rappresentanto e difeso dall'avv. Francesco Paolo Videtta  presso  il
 cui  studio  in  Roma,  piazza Campo de' Fiori n. 24 e' elettivamente
 domiciliato e il  Ministero  dei  lavori  pubblici,  in  persona  del
 Ministro  pro-tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
 dello Stato presso il quale e' ex-lege domiciliato in Roma,  via  dei
 Portoghesi n. 12 per la declaratoria, dell'inesistenza a carico della
 societa'  ricorrente  dell'obbligazione  per il pagamento delle somme
 pretese dal comune di Grugliasco con provvedimento in data  31  marzo
 1998 (notificato il successivo 7 aprile 1998), asseritamente dovute a
 conguaglio   dell'importo   gia'   versato  a  titolo  di  contributo
 commisurato al  costo  di  costruzione  per  il  conseguimento  delle
 concessione  edilizie di cui infra; nonche' per l'annullamento previa
 sospensione dell'efficacia, del provvedimento prot. 8075 del 31 marzo
 1998 (notificato il successivo  7  aprile  1998),  con  il  quale  il
 dirigente  del  settore  urbanistica  del  comune  di  Grugliasco  ha
 invitato  la  societa'  ricorrente   a   pagare   l'importo   di   L.
 9.739.865.901  a  conguaglio  del  contributo commisurato al costo di
 costruzione versato per il conseguimento delle  concessioni  edilizie
 specificate  in  narrativa;  nonche'  per  l'annullamento del decreto
 ministeriale 10 maggio 1977, n. 801; e di tutti gli  ulteriori  atti,
 anteriori,  ovvero  comunque  coordinati  e/o connessi a quelli sopra
 indicati e Shopville  Le  Gru  S.p.a.,  in  persona  del  procuratore
 speciale  dott.  Ermanno Niccoli; rappresentata e difesa dagli avv.ti
 Giovanni Gerbi e Ludovico Villani e presso lo studio di  quest'ultimo
 elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Clodio n. 12;
   Contro  il  comune di Grugliasco, in persona del sindaco in carica,
 rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Paolo  Videtta  presso  il
 cui  studio  in  Roma,  p.zza  Campo  de'  Fiori 24, e' elettivamente
 domiciliato, e la regione Piemonte, in persona del  Presidente  della
 giunta  regionale  pro-tempore e il Ministero dei lavori pubblici, in
 persona del Ministro pro-tempore,  entrambi  rappresentati  e  difesi
 dall'Avvocatura  generale dello Stato presso la cui sede in Roma, via
 dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati e nei confronti della Societa'
 Galileo S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, per
 l'accertamento,  ai  sensi dell'art. 16, legge 28 gennaio 1977, n. 10
 della  non  doverosita'  (oggettiva  e   comunque   soggettiva)   del
 "contributo  commisurato  al  costo  di  costruzione"  quantificato e
 preteso dal comune di Grugliasco  con  nota  dell'assessore  delegato
 arch.  Guido  Lagana'  2  luglio 1996, prot. n. 4642.X.19.I.A, per la
 declaratoria della non doverosita'  di  tale  conguaglio  e  comunque
 della non doverosita' di un conguaglio nella misura indicata con nota
 sopra  indicata  ed in ogni caso della non doverosita' da parte della
 ricorrente Shopville Le Gru S.p.a., per l'annullamento in una con  la
 indicata  nota  assessorile  2  luglio  1996, di qualunque direttiva,
 tabella o circolare,  regionale  o  ministeriale  che  il  comune  di
 Grugliasco   possa   aver   applicato  con  tale  nota  e  cosi',  in
 particolare, della deliberazione del Consiglio  regionale  piemontese
 27 luglio 1982 n. 320-6862 e del decreto ministeriale 10 maggio 1977,
 n.  801  oltre  che  della  deliberazione  del  Consiglio comunale di
 Grugliasco, se ed  in  quanto  esistente,  con  la  quale  sia  stato
 stabilito  il  costo  di  costruzione ai sensi dell'art. 10, legge n.
 10/1997;
   Visti gli atti di costituzione in  giudizio  delle  amministrazioni
 intimate;
   Viste  le  memorie prodotte dalle parti a sostengo delle rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti delle cause;
   Relatore, alla pubblica udienza del 12 novembre 1998 il cons. Carlo
 Visciola e uditi, per le parti, gli avv.ti Gerbi, Molino (su delega),
 Medugno e Videtta; nessuno comparso per  le  amministrazioni  statali
 resistenti.
                               F a t t o
   In  data  6  aprile  1998  e,  dunque,  in pendenza del ricorso (n.
 3356/1997) gia' proposto dalla  Standa  S.p.a.  e  davanti  a  questo
 tribunale, veniva notificata alla Standa stessa la nota n. 8075 prot.
 del  31 marzo 1998, con la quale il dirigente del settore urbanistica
 del comune di  Grugliasco  la  invitava  a  pagare  l'importo  di  L.
 9.739.865.901   a   conguaglio  degli  importi  dovuti  a  titolo  di
 contributo  commisurato  al  costo  di  costruzione   relativi   alle
 concessioni  edilizie  afferenti  i  fabbricati  realizzati nell'area
 urbanistica "T".
   Tale identico  importo  era  gia'  stato  richiesto  da  comune  di
 Grugliasco,  con nota assessorile n. 4642 in data 2 luglio 1996, alle
 societa' Shopville Le Gru, Atena S.p.a. e  Ikea  Italia  S.p.a.,  che
 avverso   le   stesse  proponevano  gravame  giurisdizionale  tuttora
 pendente dinanzi al t.a.r. del Piemonte.
   Avverso l'indicata nota dirigenziale n. 8075/1998  prot.  insorgeva
 la   Standa   chiedendone   a  questo  t.a.r.  l'annullamento  previa
 sospensione dell'efficacia, unitamente alle altre statuizioni di  cui
 in epigrafe, con ricorso (n. 7408/1998) notificato il 1 giugno 1998 e
 depositato il giorno 10 successivo, a sostegno del quale deduceva:
     1)  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 10 della legge 28
 gennaio 1977 n. 10,  eccesso  di  potere  per  difetto  assoluto  dei
 presupposti;
     2)   violazione   e  falsa  applicazione,  sotto  altro  profilo,
 dell'art.  10 della legge n. 10/1977; eccesso di potere  per  carenza
 assoluta di legittimazione passiva;
     3)  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 28 della legge 24
 novembre 1981 n. 689; eccesso di  potere  per  travisamento,  carenza
 assoluta  di  presupposti,  difetto  di  istruttoria  e  di  adeguata
 motivazione.
     4) violazione e falsa applicazione dell'art. 10  della  legge  n.
 10/1977  in  combinato  disposto  con  le  norme  di  cui  al decreto
 ministeriale n. 801/1977. Violazione e falsa applicazione degli artt.
 7 e segg.  della legge n. 241/1990; eccesso di potere per errore  nei
 presupposti,   difetto   assoluto   di   istruttoria  e  di  adeguata
 motivazione;
     5) eccesso di  potere  per  difetto  di  istruttoria  e  adeguata
 motivazione;
     6)  violazione e falsa applicazione dell'art. 11.2 della legge n.
 10/1977.
   Si  costituiva  in  giudizio  il  Ministero  intimato,   con   atto
 depositato il 24 giugno 1998.
   Si   costituiva   in   giudizio   anche  il  comune  intimato,  con
 controricorso depositato  in  data  8  giugno  1998  e,  puntualmente
 controdeducendo alle censure avversarie, ne sosteneva l'infondatezza,
 chiedendo il rigetto del ricorso e dell'istanza cautelare.
   Con  memoria  depositata il 30 giugno 1998, il comune insisteva per
 il rigetto, dell'istanza cautelare.
   Alla C.d.C. del 2 luglio 1998 la pronuncia sulla domanda  cautelare
 veniva rinviata al merito.
   Con   ricorso  (n.  9908/1998)  notificato  il  20  luglio  1998  e
 depositato il  21  luglio  1998,  si  rivolgeva  a  questo  tribunale
 amministrativo  anche la soc. Shopville Le Gru S.p.a., rappresentando
 di aver a suo tempo ricevuta la notifica  della  nota  assessorile  2
 luglio  1996  (n.    4662  prot.), di cui si e' gia' detto, a seguito
 della quale aveva inviata al comune la raccomandata 25  luglio  1996,
 contestando la doverosita' di alcun conguaglio.
   Sosteneva la Shopville Le Gru S.p.a. di aver fatto ricorso a questo
 tribunale, pur in difetto di ulteriori iniziative comunali, "per puro
 scrupolo",   al   fine   di   ottenere   una  pronuncia  dichiarativa
 dell'inesistenza del credito vantato dal comune.
   A sostengo del gravame cosi' proposto, deduceva:
     1) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge 28 gennaio
 1977, n. 10 e dell'art. 52, legge  regionale  piemontese  5  dicembre
 1977,  n.  56  e  successive  modificazioni, travisamento, difetto di
 motivazione;
     2) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge n. 10/1977
 e dell'art. 52 legge regionale  n.  56/1977  sotto  diverso  profilo;
 illogicita', difetto di motivazione sotto altro profilo;
     3) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge n. 10/1977
 in  relazione alla violazione e falsa applicazione dell'art. 3, legge
 n. 47/1985;
     4) violazione dell'art. 10 legge n. 10/1977 e dell'art. 52  legge
 regionale  n.  56/1077  sotto altro profilo; travisamento, difetto di
 presupposto, difetto di motivazione;
     5) violazione e falsa applicazione dell'art. 3, legge n.  47/1985
 sotto altro profilo;
     6)   violazione   e  falsa  applicazione  dei  principi  generali
 sull'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi e sugli effetti
 retroattivi  (recte:    retrodatati)  dell'annullamento,   violazione
 dell'art.  35,  legge  n.   47/1985; difetto assoluto di presupposto,
 difetto di motivazione;
     7) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge n. 10/1977
 in relazione ai precedenti artt. 3 e 4;
     8)  prescrizione  dell'eventuale  credito  del comune a titolo di
 sanzione (artt. 12  e 28, legge n. 689/1981);
     9) violazione dell'art. 3, legge n. 241/1990;
     10) violazione dell'art. 7, legge n. 241/1990;
     11) violazione e falsa applicazione dell'art. 11.2.  della  legge
 n. 10/1977;
     12) violazione e falsa applicazione dell'art. 10 legge n. 10/1977
 e dell'art. 52, legge regionale n. 56/1977, difetto di legittimazione
 passiva, indebito soggettivo.  Si costituiva in giudizio l'Avvocatura
 generale  dello  Stato, con atto depositato il 12 settembre 1998, per
 conto del Ministero dei lavori pubblici e della regione Piemonte.  Si
 costituiva in giudizio anche il comune intimato, con atto  depositato
 il  17  ottobre  1998,  chiedendo il rigetto del riorso.  Con memoria
 depositata il 29 ottobre 1998, la societa' ricorrente  insisteva  per
 l'accoglimento  delle  proprie  conclusioni.    Con identiche memorie
 depositate in entrambi i fascicoli di causa il 30  ottobre  1998,  la
 difesa  del  comune  resistente, dopo aver analiticamente riassunto i
 fatti e la cronologia degli avvenimenti, controdeduceva  a  tutte  le
 censure  avversarie, sostenendone l'infondatezza e concludendo per il
 rigetto dei ricorsi.  Dopo la discussione orale dei ricorsi, svoltasi
 congiuntamente dalla pubblica udienza del 12 novembre 1988, i ricorsi
 stessi venivano trattenuti in decisione.
                             D i r i t t o
    I due ricorsi in epigrafe possono essere preliminarmente  riuniti,
 perche'  vengono  congiuntamente  esaminati  e  decisi,  risultandone
 evidenti  dalla  narrativa  che  precede  le  ragioni  di   oggettiva
 connessione.    Le  societa'  Standa S.p.a. e Shopville Le Gru S.p.a.
 contestano entrambe, infatti, la debenza del "versamento a conguaglio
 degli importi dovuti a titolo di contributo commisurato al  costo  di
 costruzione"   loro  richiesto  con  note  di  identico  contenuto  -
 rispettivamente in data 31 marzo 1998 (n. 8075/prot.) e 2 luglio 1996
 (n. 4642/prot.)  dal comune di Grugliasco e, comunque la  misura  del
 contribuito stesso come quantificata nelle note indicate e chiedono a
 questo  tribunale  amministrativo regionale la relativa declaratoria.
 In funzione strumentale a tale declaratoria hanno chiesto,  altresi',
 a questo tribunale l'annullamento, "ove occorra", delle note stesse e
 degli  atti  comunali  e  regionali indicati in epigrafe, nonche' del
 decreto ministeriale 10 maggio 1997 n. 801.   Le contestazioni  circa
 "l'an"  e/o  il  "quantum"  del  contributo  commisurato  al costo di
 costruzione richiesto a  conguaglio  dal  comune,  appartengono  alla
 giurisdizione  esclusiva  del  giudice amministrativo, ai sensi degli
 artt. 16 della legge n. 10 del 1977 e 35 diciassettesimo comma, della
 legge n. 47 del 1985, anche ove  la  richiesta  di  conguaglio  debba
 considerarsi  estesa  alla "...domanda di condono presentata ai sensi
 dell'art. 33 della legge n. 724/1994...", cui  fanno  riferimento  le
 note  comunali impugnate.  In entrambi i casi i giudizi, proposti per
 l'accertamento negativo di contributi urbanistici - o, in  subordine,
 della  sua  esatta  quantificazione - comportano l'accertamento della
 sussistenza o meno dell'obbligazione  pecuniaria  e  sono,  pertanto,
 attratti nell'orbita della giurisdizione esclusiva di questo giudice.
 Gli  atti  di  determinazione  degli  importi  pretesi a conguaglio a
 titolo di contributo commisurato al costo di costruzione,  in  questa
 sede contestati, riguardano concessioni edilizie assentite dal comune
 di   Grugliasco   -  comune  della  Provincia  di  Torino  -  per  la
 realizzazione  di  fabbricati  realizzati  nell'area  "T"   di   quel
 territorio e risultano quantificati sulla base di parametri normativi
 e comunali prefissati.
   La  competenza  a  conoscere  dei  ricorsi  in  esame sarebbe stata
 quindi, in via astratta, del tribunale amministrativo  regionale  per
 il  Piemonte, con sede in Torino - la cui circoscrizione territoriale
 a base regionale comprende tutte le province della regione Piemonte -
 ai sensi degli artt. 1, 3 e 4 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034.  A
 tale tribunale, infatti, si e' rivolta altra societa' destinataria  -
 unitamente  alle  attuali  ricorrenti  -  della medesima richiesta di
 conguaglio, con autonomo ricorso (n. 2380/36) tuttora pendente presso
 quell'organo  giudiziario,  che  si  e'  anche  pronunciato  in  sede
 cautelare  (con  ordinanza  n. 1442 del 13 dicembre 1936) sul ricorso
 medesimo.
   La circostanza che con i ricorsi in esame  sia  stato  richiesto  a
 questo,  tribunale  - in funzione, come si e' sottolineato, meramente
 strumentale alla pretesa declaratoria  -  anche  l'annullamento  "ove
 occorra"  del  decreto  ministeriale  10 maggio 1977 n. 801, non puo'
 certo valere a radicare, ex se la competenza  di  questo  t.a.r.  del
 Lazio  ai  sensi dello stesso art. 3, terzo comma della legge n. 1034
 del 1971.
   La giurisprudenza del giudice amministrativo d'appello ha affermato
 che la mera contestualita'  dell'impugnazione  di  un  atto  generale
 emanato  da autorita' centrali e di un atto applicativo non e' di per
 se' sufficiente per determinare lo spostamento della  competenza  dal
 t.a.r.  locale  a  quello  del  Lazio, occorrendo che tra i vari atti
 contestati sussista un collegamento obiettivo, che si sostanzia in un
 nesso di conseguenzialita' necessaria (tra le altre: C.d.S. IV sez. 2
 aprile 1984, n. 218; VI, sez. 10 giugno 1987, n. 375; 9 giugno  1986,
 n. 407 e 17 ottobre 1988, n. 1121; idem V sez 26 maggio 1990 n. 464).
 Di tale collegamento obiettivo dubitano per prime, nel caso concreto,
 proprio  le  societa' ricorrenti.  La societa' Standa S.p.a., invero,
 sostiene l'illegittimita' del decreto ministeriale  n.  801/1977  per
 avere lo stesso completamente omessa, a suo avviso, la determinazione
 delle  modalita'  di  calcolo  da  seguire per la quantificazione del
 contributo concessorio afferente costruzioni  non  residenziali,  pur
 avendo in precedenza sostenuto - con evidente contraddizione - che il
 comune   non   si  sarebbe  attenuto  alle  disposizioni  di  massima
 introdotte con tale decreto (pagg. 18 e 21 del ricorso introduttivo).
   La societa' Shopville Le Gru, a sua  volta,  ha  sostenuto  che  il
 decreto  ministeriale  in  questione  andrebbe annullato - unitamente
 alle deliberazioni comunali e regionali contestualmente  impugnate  -
 solo  nel  caso  che  "... disponessero nel senso (o dovessero essere
 interpretati  nel  senso)  che  ai  fini  della  quantificazione  del
 contributo  dovuto  occorra avere riguardo anche alle finiture (ed al
 loro costo)" pag. 10 ricorso introduttivo.
   Nell'ambito della  giurisdizione  esclusiva,  inoltre,  al  giudice
 amministrativo    devono    riconoscersi   gli   stessi   poteri   di
 disapplicazione spettanti, ex art. 51, 20 marzo 1865, n. 2248 all. E,
 al giudice ordinario (in senso conforme: t.a.r. Lombardia -  MI  -  2
 aprile   1997,   n.   354),   sicche'   ben   potrebbe  il  tribunale
 amministrativo competente  a  conoscere  della  controversia  in  via
 principale,    disapplicare    l'impugnato    decreto    ministeriale
 considerandolo, ove riconosciuto effettivamente illegittimo,  tamquam
 non esset.
   Cio'  peraltro, viene riconosciuto dalla stessa societa' ricorrente
 Shopville Le Gru allorche' sostiene, correttamente  (a  pag.  10  del
 ricorso  introduttivo)  che  le deliberazioni comunale e regionale ed
 decreto  ministeriale  10  maggio  1977,  n.  801,  "...   andrebbero
 annullati (o meramente disapplicati; trattandosi, di materia affidata
 alla  giurisdizione  esclusiva  e  di  atti incidenti su posizioni di
 diritto soggettivo perfetto)".   In materia di  diritti  patrimoniali
 azionati in giudizio, - come nelle fattispecie in esame - invero, gli
 stessi  provvedimenti applicativi impugnati rivestono natura di "atti
 paritetici", in quanto tali  non  abbisognevoli  di  impugnazione  in
 senso tecnico, ai fini della declaratoria del diritto richiesta dalle
 societa'  ricorrenti  (C.d.S., IV sez., ord. 3 febbraio 1992, n. 144;
 A.P. 14 ottobre 1992, n. 13).  E' quanto meno dubbio, percio', che in
 materia di diritti patrimoniali e quindi di giurisdizione  esclusiva,
 l'impugnazione  in via subordinata e/o meramente tuzioristica di atti
 di  autorita'  centrali  statali  aventi   efficacia   generale   sia
 senz'altro  idonea  a  radicare la competenza del t.a.r. per il Lazio
 con sede a Roma.  I due ricorsi sono stati  radicati,  invece  presso
 questo   tribunale   amministrativo  regionale  il  quale,  ai  sensi
 dell'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non puo'  eccepire
 la  propria  incompetenza  territoriale, ne' rivolgersi al giudice di
 tale competenza - cioe' al Consiglio di Stato - e  dovrebbe,  dunque,
 decidere   le  controversie  sottoposte  al  suo  esame  in  sede  di
 giurisdizione  esclusiva.    A  tenore  di  tale  art.  31,  infatti,
 l'incompetenza  territoriale puo' essere eccepita dal resistente o da
 qualsiasi interveniente, attraverso l'apposita istanza di regolamento
 di  competenza,  ma  "...    non  e'  rilevabile  d'ufficio".      La
 giurisprudenza  amministrativa ha pacificamente ritenuto che tale non
 rilevabilita'   d'ufficio   riguardi   anche   le   questioni   sulla
 discriminazione  di competenza tra il t.a.r. rispetto agli atti degli
 organi centrali, allorche' lo stesso t.a.r. del Lazio  sia  investito
 della   controversia   in   ragione   della  posizione  differenziata
 attribuitagli dall'art. 3, comma terzo, della legge 6 dicembre  1971,
 n.  1034  (per tutte: C.d.S., A.P. 14 ottobre 1992, n. 13 e IV sez. 2
 luglio 1976, e n. 286, VI sez. 17 dicembre 1976, n. 451;  IV  sez.  6
 giugno 1978, n. 529).
   Tale  posizione differenziata, infatti, concretizzerebbe pur sempre
 un'ipotesi di competenza  territoriale  non  funzionale,  sicche'  la
 relativa  questione  non  potrebbe essere decisa dal t.a.r. adi'to ma
 dovrebbe essere  eccepita  dalla  parte  resistente  o  da  qualsiasi
 interveniente con apposito ricorso al Consiglio di Stato nel rispetto
 delle  forme  del  procedimento  previsto  dall'art. 31 della legge 6
 dicembre 1971, n. 1034 (in tal senso, fra le numerose pronunce t.a.r.
 Friuli-Venezia Giulia, 14 dicembre 1978, n. 260, t.a.r.  Toscana,  20
 dicembre 1978, n. 718; t.a.r. Piemonte, 3 giugno 1980, n. 413; t.a.r.
 Emilia-Romagna  12  febbraio  1981, n. 67; t.a.r. Liguria, II sez. 27
 novembre 1937, n. 384; C.d.S. IV  sez.  20  febbraio  1988,  n.  320;
 t.a.r.  Lombardia  -  BS,  23  gennaio 1997 ecc. ecc.).   Il Collegio
 ritiene  che  il  citato  art. 31 della legge n. 1034 del 1971 sia in
 contrasto con gli artt. 25, primo comma e 125,  secondo  comma  della
 Costituzione,  quantomeno  dove  consente  alle parti del processo di
 derogare, di comune accordo, alla competenza territoriale dei  t.a.r.
 mentre  non consente al giudice adito e, in particolare, al tribunale
 amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma, anche  allorche'
 giudica  in sede di giurisdizione esclusiva, di rilevare d'ufficio la
 proprio incompetenza, ne' di  chiedere  al  Consiglio  di  Stato  una
 previa  decisione  sulla  competenza  stessa, neppure nei casi in cui
 l'impugnativa  di  atti  di  autorita'  centrali  appaia  palesemente
 strumentale  e  finalizzata  esclusivamente  a radicare la competenza
 presso il t.a.r. "scelto" dalle parti  medesime  e  comunque  risulti
 irrilevante ai fini della pretesa dedotta in giudizio.
   L'art.  25,  primo  comma, della Costituzione, dispone testualmente
 che "Nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale  precostituito
 per legge".
   L'art.  125,  secondo  comma  della  Costituzione recita che "nella
 regione sono istituiti organi di giustizia  amministrativa  di  primo
 grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito  da legge della Repubblica.
 Possono istituirsi sezioni  con  sede  diversa  dal  capoluogo  della
 regione".    Le  due norme costituzionali ad avviso di questo giudice
 remittente, non possono che essere lette congiuntamente.   L'esigenza
 di istituire organi di giustizia amministrativa di primo grado presso
 le  regioni,  in conformita' al teste' citato precetto costituzionale
 e, quindi, di distribuire la giurisdizione  amministrativa  di  primo
 grado  fra  diversi  organi  con  differente posizione geografica, ha
 comportato la necessita' di determinare  la  competenza  del  giudice
 amministrativo  in  funzione  del territorio.   A cio' il legislatore
 ordinario ha provveduto, rispettivamente, con le norme degli artt.  2
 e  3  della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (che individuano i criteri
 per la determinazione della  competenza  territoriale).    Sembra  al
 Collegio  che  una  volta  istituiti  i  suddetti organi di giustizia
 amministrativa di primo grado, le cui circoscrizioni sono regionali e
 comprendono  le  province  facenti  parte  delle  singole  regioni  e
 stabiliti  con  carattere  di generalita' i criteri di competenza dei
 tribunali medesimi, non possa poi essere consentito, senza violare la
 spirito e la lettera dell'art. 25, primo comma,  della  Costituzione,
 rimettere   alla  mera  volonta'  delle  parti  l'individuazione  del
 tribunale da investire della soluzione delle  controversie  concrete,
 in  tal  modo  scegliendo  il  giudice  amministrativo  che piu' loro
 aggrada, secondo criteri di convenienza e  di  preferenza  che  nulla
 hanno  a  che  vedere con l'esigenza posta a fondamento del principio
 costituzionale consacrato nella norma in questione.
   E' pur vero che cio' puo' avvenire solo di comune  accordo  tra  le
 parti,  avendo  quella  non  consenziente  a  propria disposizione lo
 strumento del ricorso (al Consiglio  di  Stato)  per  regolamento  di
 competenza,  previsto  dall'art.  31,  primo  comma,  della  legge n.
 1074/1971.
   Ma tale accordo puo' essere realizzato cripticamente e  tacitamente
 senza  neppure ricorrere al procedimento previsto dalla norma stessa,
 facendo solo infruttuosamente decorrere i termini fissati a  pena  di
 decadenza del secondo comma dello stesso art. 31.
   Vale  la  pena  ricordare,  peraltro,  che il potere della parti di
 disporre   deroghe   alla   competenza   stabilita'   dalla    legge,
 nell'ampiezza  in  cui  e'  attualmente  ammesso, non era nel disegno
 originario  del  legislatore,  ma   e'   stato   introdotto   durante
 l'elaborazione   del   progetto   in  sede  parlamentare  (vedasi  G.
 Morbidelli, Cronaca parlamentare della legge istitutiva dei tribunali
 amministrativi regionali, in Riv. trim. in diritto pubblico 1372 pag.
 2080).
   Tale  potere  non  trova  corrispondenza  nel  processo  civile,  a
 somiglianza   del   quale   e'   modellato,   specie  in  materia  di
 giurisdizione esclusiva, quello amministrativo, processo nel quale il
 codice di procedura civile riconosce si'  alle  parti  un  potere  di
 derogare  alla  competenza  territoriale  stabilita  dalla  legge, ma
 circoscritto entro precisi limiti, che il giudice ha il potere dovere
 di sindacare e nel quale, comunque, la competenza giurisdizionale non
 e' organizzata esclusivamente su base territoriale, come avviene  per
 il  processo  amministrativo,  esistendo  anche  una  competenza  per
 materia o valore (artt. 7 e  segg  c.p.c.)  ed  una  competenza  c.d.
 "funzionale"   (nei   vari   casi   indicati   nell'art.  38  c.p.c.)
 inderogabile per accordo delle parti.
   Il sistema  delineato  dall'art.  31  della  legge  istitutiva  dei
 tribunali  amministrativi regionali, quale risulta in particolare dai
 commi primo, quarto e nono della legge n. 1034 del 1971, non  prevede
 fori  facoltativi  ed alternativi, consentendo alle parti di derogare
 alla competenza territoriale stabilita dalla  legge  stessa  con  una
 liberta'  ed  un'ampiezza  che non hanno l'eguale nel processo civile
 mentre nega, come  si  e  detto,  al  giudice  adito,  il  potere  di
 pronunciare  in  materia  di competenza o, quanto meno, di richiedere
 anch'esso al Consiglio  di  Stato  una  decisione  sulla  competenza,
 sostanzialmente  rimettendo  alle  parti,  anziche'  al  legislatore,
 l'individuazione  del   giudice   amministrativo   di   primo   grado
 territorialmente competente.
   Il  tribunale  amministrativo  regionale,  dunque,  caso  unico del
 nostro  ordinamento  giuridico,  non  puo'  giudicare  della  propria
 competenza  ne' d'ufficio, ne' su istanza di parte e non puo' neppure
 rivolgersi al Consiglio di Stato per  ottenere  una  pronuncia  sulla
 competenza  che  tenga  conto,  in  particolare  nei casi impugnative
 proposte davanti a questo t.a.r. del Lazio con sede  in  Roma,  della
 natura   della   controversia   e  dell'eventuale  strumentalita'  di
 impugnativa di atti di autorita' centrali al solo fine di radicare la
 competenza del t.a.r. medesimo.
   Non ignora il Collegio la giurisprudenza costituzionale - a  quanto
 risulta,  pero',  mai pronunciatasi con riferimento all'art. 31 della
 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 - secondo la quale  essendo  le  norme
 disciplinatrici  della competenza territoriale dirette a stabilire in
 anticipo  i  criteri  di   individuazione   del   giudice,   non   e'
 configurabile  al riguardo violazione dell'art. 25 della Costituzione
 (sentenza 11-12 maggio 1977, n. 77).
   Proprio tale giurisprudenza rafforza, pero', il  convincimento  del
 Collegio circa la non costituzionalita' dell'art. 31 in discorso.
   Una   volta,   infatti,  che  il  legislatore  ha  puntualmente  ed
 eusaustivamente predeterminati, come si e' detto, con le norme  degli
 artt.  2  e  3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, i criteri per la
 determinazione della competenza territoriale, con riferimento a  dati
 obiettivi  ed  obiettivamente accertabili - quali la sede dell'ente e
 dell'organo  che  ha emesso l'atto impugnato, la sede di servizio del
 ricorrente   pubblico   impiegato,   l'efficacia   ultraregionale   o
 infraregionale  dell'atto  dell'Organo centrale dello Stato che viene
 impugnato - non puo', poi, consentire  alle  parti  di  travolgere  e
 disattendere  "ad  libitum"  tali  criteri, posti anche in attuazione
 dell'art.  125  della  costituzione,  costruendosi  "su  misura"   la
 competenza   territoriale   che   loro   piu'  aggrada,  rivolgendosi
 indifferentemente  all'uno  o  all'altro   tribunale   amministrativo
 regionale  o,  come  nel caso concreto, a quello con sede in Roma, ed
 impedendo anche al giudice adito di  rilevare  d'ufficio  la  propria
 incompetenza territoriale.
   Ne',   a   giustificare   la   discrezionalita'   del   legislatore
 nell'impedire  al  giudicante  di  rilevare  d'ufficio   la   propria
 incompetenza  o,  quanto  meno,  di  richiedere al giudice regolatore
 della competenza una pronuncia in merito alla stessa,  ricorrono  nel
 processo  amministrativo  quelle serie, concrete ed obiettive ragioni
 di speditezza e di celerita' del processo che hanno  indotto  codesta
 Corte a riconoscere, in talune circostanziate ipotesi legislative, la
 legittimita'  costituzionali di siffatta discrezionalita' (ad esempio
 ordinanza 19-30 dicembre 1991 n. 521).
   A tacere d'ogni altra considerazione  circa  supposte  esigenze  di
 speditezza,  osserva  il  Collegio che nessuna norma vieta al giudice
 investito di una competenza territoriale - che  in  ipotesi  non  gli
 appartenga   ma  che  egli  non  puo'  rilevare  d'ufficio,  ne'  far
 altrimenti valere con lo strumento del regolamento di competenza - di
 adottare pronunce istruttorie che sospendono, comunque, la  decisione
 della controversia.
   E  tali  esigenze  istruttorie  possono  palesarsi  maggiori e piu'
 frequenti proprio in relazione  a  controversie  radicate  presso  un
 giudice  diverso  e  distante  da  quello  che  sarebbe  competente a
 conoscerne  in  via  generale,  secondo  i  criteri   di   competenza
 territoriale all'uopo stabiliti dalla legge n. 1034 del 1971.
   Il  fondamento  di  tale  criteri  va ricercato, infatti, sia nella
 presumibile migliore esplicazione del potere cognitorio  del  giudice
 su  vicende che gli sono vicine e delle quali puo' avere, occorrendo,
 percezione e visione diretta - non a caso, infatti, l'art.  26  della
 legge  27  aprile  1982,  n. 186 prescrive l'obbligo di residenza dei
 magistrati amministrativi in un comune dove ha sede l'ufficio  presso
 il   quale   esercitano  le  loro  funzioni  -,  che  nella  maggiore
 possibilita' di tutela di interessi estranei ai soggetti della  lite,
 che possono essere coinvolti nel processo.
    Interessi  che,  in  taluni casi, possono trascendere quelli delle
 parti in lite ed assumere valenza di interesse generale e che restano
 privi di tutela attesa la mancanza, come  e'  noto,  di  un  pubblico
 ministero   nel   processo   amministrativo  e  la  difficolta',  per
 l'Avvocatura di Stato - che nel caso concreto non ha ritenuto neppure
 di dover partecipare alla discussione dei ricorsi; - di rappresentare
 sempre  ed  adeguatamente   tali   interessi   davanti   al   giudice
 amministrativo.
   A  cio'  aggiungasi  che  la  possibilita'  offerta  alle parti del
 processo amministrativo, dall'art. 31 della legge n. 2034  del  1971,
 di   derogare   espressamente   o  tacitamente  dal  competente  foro
 territoriale, rivolgendosi ad un qualsiasi  tribunale  amministrativo
 regionale  della  Repubblica comporta, sul piano processuale, effetti
 che  incidono  sicuramente  su  presunte  esigenze  di  celerita' del
 processo stesso non avendo  il  legislatore  provveduto  a  garantire
 l'unita'  del  giudizio  quando, su controversie in tutto od in parte
 uguali, siano stati promossi  procedimenti  diversi  presso  distinte
 sedi giudiziarie.
   Il  giudice  amministrativo  non  puo'  certo ignorare gli istituti
 della "litispendenza", della "continenza" e  della  "connessione"  di
 cause  e  dovrebbe far ricorso a principi ed alle norme del codice di
 procedura civile, sia pure adattandoli alle  caratteristiche  e  alle
 esigenze  del  processo  amministrativo,  allorche' si verifichino le
 situazioni alle quali tali istituti si riferiscono.
   Cio', in particolare, in  sede  di  giurisdizione  esclusiva  nella
 quale la giurisprudenza ha gia' riconosciuto, si pure con riferimento
 agli  istituti  del  cumulo oggettivo di domande e del litisconsorzio
 facoltativo, l'applicabilita'  in  via  tendenziale  della  normativa
 processuale comune - di cui agli artt. 103 e segg. c.p.c. -, in luogo
 dei  piu'  restrittivi  principi  vigenti in materia di giurisdizione
 generale di legittimita' (C.d.S., sez. V, 13 giugno 1998, n. 828).
   E non  vi  e'  ragione,  ad  avviso  del  Collegio,  per  escludere
 l'applicabilita'  al  processo  amministrativo,  almeno  in  sede  di
 giurisdizione esclusiva, anche, della disciplina  processuale  comune
 di cui agli artt. 39 e 40 c.p.c.
   Sicche',  quando  si  verifichi,  in  particolare,  una  situazione
 equivalente a quella prevista dall'art. 39, primo comma, c.p.c., vale
 a dire una situazione di litispendenza il giudice amministrativo deve
 comunque  risolverla,  in  conformita'  alla  norma  processuale   in
 questione,  ed  ai principi dell'ordinamento giuridico, che prevedono
 la promozione di un unico processo per la medesima controversia.
   Se, al contrario,  uno  dei  giudici  delle  cause  pendenti  fosse
 incompetente e potesse rilevare d'ufficio tale incompetenza o almeno,
 farla  valere, davanti al giudice della competenza previsto dall'art.
 31 della legge 1034 del 1971, la decisione sulla competenza, comunque
 provocata, farebbe cessare la situazione di litispendenza, spogliando
 della causa il giudice competente e realizzando, in tal  modo,  anche
 quelle  esigenze  acceleratorie  del  processo cui si faceva poc'anzi
 riferimento ed  alle  quali  non  appare  sicuramente  rispondere  la
 disciplina processuale introdotta con l'art. 31 in discorso.
   Puo',  dunque, conclusivamente affermarsi in estrema sintesi che, a
 parere del Collegio, la previsione della non rilevabilita'  d'ufficio
 della  incompetenza per territorio e la facolta', rimessa alle parti,
 della scelta del foro competente a decidere  -  anche  in  deroga  ai
 criteri  di  competenza  stabiliti  e  predeterminati in astratto dal
 legislatore -, contenute nell'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n.
 1034,   minano   ed   elidono   senza   plausibile   e    ragionevole
 giustificazione  il  criterio  di  certezza  nell'individuazione  del
 giudice competente e si pongono, in tal modo, in aperto contrasto con
 il principio della precostituzione del giudice sancito  dall'art  25,
 primo   comma,   della   Costituzione,   siccome  interpretato  dalla
 giurisprudenza di codesta Corte costituzionale.
   La deroga a tale precostituzione del giudice non puo' spingersi, ad
 avviso del Collegio, fino ad affidare in concreto alle parti e  senza
 alcuna forma di controllo del giudice investito della controversia o,
 quanto  meno,  del  giudice  della  competenza, il potere di disporre
 della competenza che il  richiamato  principio  costituzionale  esige
 fissata  in  anticipo e non gia' in vista di determinate controversie
 e/o di interessi delle parti  del  processo,  interessi  che  possono
 restare   inconfessati  ed  ignoti  attesa  la  possibilita',  dianzi
 sottolineata, conferita  alle  parti  medesime,  di  accodarsi  anche
 tacitamente  per  adire un tribunale amministrativo diverso da quello
 indicato dalla legge.
   Secondo  il  Collegio  un  cosi'  esteso  ed  incontrollato  potere
 dispositivo  delle  parti e la correlativa impossibilita' di rilevare
 d'ufficio l'incompetenza territoriale, violano anche l'art. 125  u.c.
 della Costituzione.
   Tale   norma  sembrerebbe  aver  predeterminato  essa  stessa,  con
 carattere  vincolante  ed  inderogabile  anche  per  il   legislatore
 ordinario,  la  competenza  territoriale  degli  organi  di giustizia
 amministrativa di primo grado.
   La norma, cioe', oltre ad  aver  costituzionalizzato  il  principio
 cosi'  detto  del  doppio grado di giurisdizione in tema di giustizia
 amministrativa - giusta l'interpretazione avallata da  codesta  Corte
 costituzionale nella sentenza n. 61 del 1975 -, ha anche vincolato il
 legislatore   ordinario   ad   istituire   organi   di  giurisdizione
 amministrativa di  primo  grado  in  ogni  regione,  distribuendo  la
 giurisdizione  amministrativa  tra  i  diversi  uffici giudiziari con
 differente posizione geografica.
   Una  volta  che,  in   esecuzione   ed   attuazione   del   dettato
 costituzionale,   il   legislatore   ordinario  abbia  operato,  come
 concretamente ha fatto con le norme di cui al titolo I della legge  6
 dicembre   1971,   n.  1034,  siffatta  distribuzione  di  competenza
 giurisdizionale  in  funzione  del  territorio,  secondo  precisi   e
 predeterminati  criteri di competenza territoriale dei vari organi di
 giustizia amministrativa di primo grado - i tribunali  amministrativi
 regionali,  appunto  -,  non puo' poi, senza violare l'indicata norma
 costituzionale, consentire di stravolgere ed ignorare  tali  criteri,
 conferendo  alle  parti  un ampio ed incontrollato potere dispositivo
 della competenza e  contestualmente  inibendo  al  giudice  adito  di
 pronunciare in materia o di rivolgersi, a sua volta, al giudice della
 competenza.
   Il  che,  invece,  e'  proprio  quanto  ha fatto il legislatore con
 l'art.  31 della legge n. 1034 del 1971, sospettato anche sotto  tale
 profilo    di    incostituzionalita',    in    pratica   introducendo
 nell'ordinamento giuridico una sorta di "fungibilita'" dei  tribunali
 amministrativi regionali, cosi' svuotando di reale contenuto la norma
 costituzionale in discorso.
   Tale    degradazione    di    competenza   territoriale,   affidata
 all'illimitato ed incontrollato potere dispositivo delle parti  -  al
 di la' degli inconvenienti pratici che puo' produrre, tra l'altro, in
 presenza   di  situazioni  di  litispendenza  di  cause  -  potrebbe,
 peraltro, portare in taluni casi a  conseguenza  aberranti,  che  non
 sembra  al  Collegio  siano  state  adeguatamente  e sufficientemente
 valutate dal legislatore ordinario.
   Un orientamento giurisprudenziale particolarmente severo e rigoroso
 in talune materie - (ad esempio  proprio  quella  relativa  ad  abusi
 urbanistici-edilizi   -)   da   parte  di  un  determinato  tribunale
 amministrativo regionale potrebbe spingere le parti - i cui interessi
 sostanziali potrebbero risultare coincidenti per ragioni  varie  -  a
 rivolgersi   ad   altro   tribunale  amministrativo,  magari  situato
 all'estremo  opposto  della  penisola,  la  cui  giurisprudenza venga
 ritenuta meno rigorosa e comunque piu' gradita alle parti stesse.
   In  tal  modo  ai  tribunali  amministrativi  regionali  competenti
 verrebbero sottratte consistenti "fette" di giurisdizione, per essere
 attribuite  alla competenza di altro tribunale non gia' sulla base di
 precostituiti  criteri  legislativi  stabiliti  prima  dell'insorgere
 della  controversia  giudiziaria  o in virtu' di concorrenti principi
 costituzionali o di prevalenti ed  obiettive  esigenze  di  carattere
 pubblicistico, ma "asservendo" il processo, anche sotto tale aspetto,
 all'ampio potere dispositivo delle parti.
   Cosi'  esse diventano libere di scegliere il giudice amministrativo
 che loro meglio aggrada (in tal  senso  Mario  Nigro,  in  "Giustizia
 amministrativa"  ed.  il  Mulino  pag. 359), incidendo una competenza
 territoriale a base regionale insuscettibile, in virtu' della cogente
 direttiva  di  decentramento  contenuta  nell'art.  125,  u.c.  della
 Costituzione,  di  essere  tanto  apertamente  ed ingiustificatamente
 derogata dall'insindacabile accordo delle parti.
   Il   Collegio   confida   di   aver   dimostrato,   attraverso   le
 argomentazioni  svolte, la non manifesta infondatezza della questione
 di costituzionalita' sollevata d'ufficio.
   Quanto alla rilevanza della questione nel giudizio a quo, la stessa
 risiede nel  fatto  che  la  presente  controversia,  almeno  in  via
 preliminare,   non   puo'  essere  definita  indipendentemente  dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale cosi' come
 sollevata, dovendo questo  giudice  ritenersi  senz'altro  competente
 (oppure  no)  a conoscere della controversia sottopostagli, a seconda
 che la norma denunziata sia dichiarata o meno  incostituzionale.